L’Archivio, costituito dalla famiglia dell’artista, si occupa della catalogazione, valorizzazione e promozione dell’opera di Marinella Pirelli,
nella volontà di far conoscere le opere, il lavoro e la creatività della visione dell’artista.
L’Archivio collabora, inoltre, con musei, studiosi e università per la realizzazione di mostre e la redazione di pubblicazioni
con opere dell'artista, fornendo i materiali e la supervisione necessari.
Inoltre raccoglie documentazione su Marinella Pirelli e il suo tempo, promuovendo ricerche storico-critiche.
Curatore dell’archivio: Vittoria Broggini
Organizzazione e studio: Angela Orsini, Lucia Aspesi

Mario Bernardo
"Note di tecnica cinematografica", Pubblicazione trimestrale dell’ATIC di Tecnica Multimediale, n. 1, gennaio-marzo 1998, p. 24
… Marinella non sembra affatto mutata.
Mantiene il candore e la illogicità delle giovinezza, la ferma convinzione dei suoi principi.
Marinella nasce pittrice, e come tale frequenta l’ambiente dei pittori e degli...
leggi...
… Marinella non sembra affatto mutata.
Mantiene il candore e la illogicità delle giovinezza, la ferma convinzione dei suoi principi.
Marinella nasce pittrice, e come tale frequenta l’ambiente dei pittori e degli artisti.
Non disdegna le altre arti: il teatro, ad esempio, quando, a Milano, entra nella compagnia di Fantasio Piccoli del “Carrozzone”.
Avrebbe dovuto occuparsi di scene e costumi, ma “…ad un tratto, essa annota, mi mandano anche in palcoscenico a recitare...”.
Il suo mondo preferito è tuttavia quello dei pittori, di Dova e Crippa, di Migneco e Guttuso, di Consagra, Turcato e Sonego. In tal modo è sempre riportata a dipingere, e vince anche alcuni premi.
Finchè imbocca la strada del cinema.
Il suo esordio avviene nel cartone animato, congeniale ad una pittrice.
Succede dopo un paio di esperienze quale piccola attrice in “Europa 51” di Rossellini e in “Cammei” di Antonio Pietrangeli. Nella pratica pubblicitaria impara ad animare, a filmare le migliaia di disegni a passo uno: “…è come il tempo andante della musica. Su questo metro e su questa base sono i tempi del movimento, si dipana il ritmo. Non solo l’occhio è coinvolto nella ripresa, ella scrive, ma anche il respiro, il battito del cuore…”.
Dopo un intervallo dovuto al matrimonio e alla nascita dei figli riprende la sua attività di pittrice nel 1959, quando espone all’ VIII Quadriennale. Si fa notare da Guttuso e dai critici del tempo.
“Tuttavia la pittura mi divertiva ma non mi soddisfaceva…”, dice Marinella.
Essa cerca il movimento dell’immagine, la vita dell’immagine, che può essere espressa soltanto col cinema. Ritorna così all’animazione con due film del 1961, “Gioco di dama” e uno sperimentale a pupazzi animati “Pinca Palanca”.
Nel lavoro, incontra Bruno Munari. Le viene proposto di girare in 35 mm ma essa preferisce il 16. “La cinepresa 16mm, essa sostiene, è più maneggevole; il rapporto dell’autore con lo strumento è quasi un’immedesimazione… va col respiro, con le pause necessarie per vedere…”.
Il cinema da modo a Marinella di scoprire veramente la luce come linguaggio. Si da completamente al film sperimentale girando, Sole, Il lago, fino ai suoi capolavori della serie “Environmental Screen”, sulle sculture di Marotta “Nuovo Paradiso”. Prosegue, cercando immagini sempre più astratte, fatte di sola luce colorata, quasi un mondo virtuale ante litteram, che soltanto più tardi si scoprirà nei film della Videoarte.
Moltissimi i suoi lavori: Rosa n.3, Costellazione dell’Auriga n.4, n.8, ecc, Costellazione della Solitudine e della Malinconia, Geometria Sensibile.
Dopo una pausa dovuta alle sciagure familiari, riprende il film in “Doppio autoritratto” con musiche di Stradel, Vivaldi e Monteverdi; “Quando mi vidi non c’ero”. Lavora ad un progetto di ambienti “…dove gli elementi visivi sono contrappunto di silenzio e suoni a quattro voci di strumenti musicali…”e ancora, col passare degli anni, un ritorno più tranquillo alla pittura.
Diceva Leonardo che “il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero dell’uomo, perciocché se egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli è signore di generarle, e se vuol vedere mostruose che spaventino, o che siano buffonesche o risibili, o veramente compassionevoli, ei n’è signore e creatore”. "Quantunque sia, … più degna cosa l’imitar le cose di natura, che sono le vere similitudini in fatto che con parole imitare i fatti e le parole degli uomini…”.
A questo punto in Marinella nasce il periodo delle rose col trascolorare del colore per temperatura e densità luminose...
“Rosa Sole”, “Rosa Luna”, “Spuma onda rossa”, “Rosa morta sulla spiaggia”…
“Un pittore è uno che ha una strana ossessione in fondo, e lavorando la pensa e la identifica, ci convive, la rende dolce, fertile…”
Essa osserva in chiusura del suo volume. Dove il tempo è “un po’ più approfondito per quanto riguarda il lavoro…”, perché “il tempo del vivere è denso di momenti assai più di quanti se ne possano documentare..”.
Segue impassibile l’avvicendarsi delle cose che la circondano. Già pronto il film da tramandare ai posteri con l’incarico di girarne essi l’ultimo fotogramma.
Mantiene il candore e la illogicità delle giovinezza, la ferma convinzione dei suoi principi.
Marinella nasce pittrice, e come tale frequenta l’ambiente dei pittori e degli artisti.
Non disdegna le altre arti: il teatro, ad esempio, quando, a Milano, entra nella compagnia di Fantasio Piccoli del “Carrozzone”.
Avrebbe dovuto occuparsi di scene e costumi, ma “…ad un tratto, essa annota, mi mandano anche in palcoscenico a recitare...”.
Il suo mondo preferito è tuttavia quello dei pittori, di Dova e Crippa, di Migneco e Guttuso, di Consagra, Turcato e Sonego. In tal modo è sempre riportata a dipingere, e vince anche alcuni premi.
Finchè imbocca la strada del cinema.
Il suo esordio avviene nel cartone animato, congeniale ad una pittrice.
Succede dopo un paio di esperienze quale piccola attrice in “Europa 51” di Rossellini e in “Cammei” di Antonio Pietrangeli. Nella pratica pubblicitaria impara ad animare, a filmare le migliaia di disegni a passo uno: “…è come il tempo andante della musica. Su questo metro e su questa base sono i tempi del movimento, si dipana il ritmo. Non solo l’occhio è coinvolto nella ripresa, ella scrive, ma anche il respiro, il battito del cuore…”.
Dopo un intervallo dovuto al matrimonio e alla nascita dei figli riprende la sua attività di pittrice nel 1959, quando espone all’ VIII Quadriennale. Si fa notare da Guttuso e dai critici del tempo.
“Tuttavia la pittura mi divertiva ma non mi soddisfaceva…”, dice Marinella.
Essa cerca il movimento dell’immagine, la vita dell’immagine, che può essere espressa soltanto col cinema. Ritorna così all’animazione con due film del 1961, “Gioco di dama” e uno sperimentale a pupazzi animati “Pinca Palanca”.
Nel lavoro, incontra Bruno Munari. Le viene proposto di girare in 35 mm ma essa preferisce il 16. “La cinepresa 16mm, essa sostiene, è più maneggevole; il rapporto dell’autore con lo strumento è quasi un’immedesimazione… va col respiro, con le pause necessarie per vedere…”.
Il cinema da modo a Marinella di scoprire veramente la luce come linguaggio. Si da completamente al film sperimentale girando, Sole, Il lago, fino ai suoi capolavori della serie “Environmental Screen”, sulle sculture di Marotta “Nuovo Paradiso”. Prosegue, cercando immagini sempre più astratte, fatte di sola luce colorata, quasi un mondo virtuale ante litteram, che soltanto più tardi si scoprirà nei film della Videoarte.
Moltissimi i suoi lavori: Rosa n.3, Costellazione dell’Auriga n.4, n.8, ecc, Costellazione della Solitudine e della Malinconia, Geometria Sensibile.
Dopo una pausa dovuta alle sciagure familiari, riprende il film in “Doppio autoritratto” con musiche di Stradel, Vivaldi e Monteverdi; “Quando mi vidi non c’ero”. Lavora ad un progetto di ambienti “…dove gli elementi visivi sono contrappunto di silenzio e suoni a quattro voci di strumenti musicali…”e ancora, col passare degli anni, un ritorno più tranquillo alla pittura.
Diceva Leonardo che “il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero dell’uomo, perciocché se egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli è signore di generarle, e se vuol vedere mostruose che spaventino, o che siano buffonesche o risibili, o veramente compassionevoli, ei n’è signore e creatore”. "Quantunque sia, … più degna cosa l’imitar le cose di natura, che sono le vere similitudini in fatto che con parole imitare i fatti e le parole degli uomini…”.
A questo punto in Marinella nasce il periodo delle rose col trascolorare del colore per temperatura e densità luminose...
“Rosa Sole”, “Rosa Luna”, “Spuma onda rossa”, “Rosa morta sulla spiaggia”…
“Un pittore è uno che ha una strana ossessione in fondo, e lavorando la pensa e la identifica, ci convive, la rende dolce, fertile…”
Essa osserva in chiusura del suo volume. Dove il tempo è “un po’ più approfondito per quanto riguarda il lavoro…”, perché “il tempo del vivere è denso di momenti assai più di quanti se ne possano documentare..”.
Segue impassibile l’avvicendarsi delle cose che la circondano. Già pronto il film da tramandare ai posteri con l’incarico di girarne essi l’ultimo fotogramma.

Lucia Aspesi
Cahiers du post-diplome, Document et Art Contemporain, 2010-2011
Marinella Pirelli è stata acuta sperimentatrice del linguaggio visivo italiano. Pittrice e cineasta, la sua è una figura singolare nel panorama artistico degli anni 60-70. Questo decennio la vede testimone...
leggi...
Marinella Pirelli è stata acuta sperimentatrice del linguaggio visivo italiano. Pittrice e cineasta, la sua è una figura singolare nel panorama artistico degli anni 60-70. Questo decennio la vede testimone di un rapido sviluppo degli aspetti legati alla ricerca cinematografica italiana. La sua prima realizzazione Film Animazione è datata 1962, a cui seguono altri brevi esperimenti pionieristici nel campo dell'animazione. Grazie ad un'attenta osservazione dei lavori di Norman McLaren, Marinella Pirelli inizia ad indagare gli aspetti legati alla costruzione del movimento e alle trasformazioni di luce propri del linguaggio cinematografico. Questi elementi, già fortemente presenti nelle sue prime investigazioni sul mezzo pittorico, prendono un posto di rilievo nella concezione di film come Luce e Movimento, 1967 ed Artificiale e Naturale, 1968; suggestive pellicole giocate su equilibri tra forma e colore. È il fervore della ricerca sulla luce, sostanza generatrice della visione, che spinge l'artista a confrontarsi con i limiti dell'apparecchio cinematografico.
I film di Marinella Pirelli parlano di eventi di luce, di gesti semplici ed emozionanti, testimoni di un tempo sensibile. L'intuizione, la transitorietà, sono parametri legati al mezzo filmico, ma soprattutto alla condizione umana del vivere.
L'opera complessa di Marinella Pirelli trova il suo apice con la presentazione di Film Ambiente alla galleria De Nieubourg a Milano nel febbraio 1969. Si tratta di una struttura spaziale modulare, sulla quale l'artista proietta il film Luce e Movimento tratto dalle sculture Nuovo Paradiso di Gino Marotta. L'invenzione è coperta dal brevetto industriale n° 12550 A69 con nome: schermo composito per proiezioni luminose con effetto spaziale. L'ambiente è completamente trasparente e praticabile dallo spettatore. Ad esso corrisponde un'immagine totale, di oggetto dinamico, e un flusso luminoso di immagini scagliate nello spazio. L'ambiente è formato da schermi disposti secondo un reticolo modulare, adattabile in base all'apertura focale dell'obiettivo e le dimensioni della spazio pronto ad ospitarlo. Il ritmo della proiezione è concepito per trasparenze e riflessioni: un rapporto immagine-a-immagine fondato su un gioco di trattenute ed aggiunte. L'impressione continua dell'immagine portata sugli schermi, non avviene per propagazione lineare, ma si sviluppa attraverso un movimento di aperture, eccentriche e concentriche, sui lati di ogni schermo. Questo estende il classico rapporto tra immagine-superficie ad una dimensione più espansa di spazio-volume, scardinando profondamente i codici di lettura della proiezione cinematografica. Incroci di volumi reali e virtuali animano lo spazio della proiezione, evadendo i limiti del cono di luce.
Nel Film-Ambiente i due termini principali dello strumento filmico, ripresa e proiezione, si condizionano vicendevolmente aprendo alla partecipazione attiva dello spettatore all'alterazione dell'immagine. Simultanea all'evento proiettivo è anche la sua sonorizzazione. Attraverso un sistema di cellule fotosensibili, progettato da Livio Castiglioni, le immagini generate sugli schermi sono direttamente registrate e tradotte in suono, a creare una corrispondenza immediata tra scala cromatica visiva e scala sonora.
In Film-ambiente il proiettato si carica di una temporalità aggiunta, che eccede l'organizzazione preventiva dei fotogrammi in una sequenza di montaggio, ed apre l'immagine all'azione possibile dello spettatore-fruitore. La sua proiezione è qui presentata come fenomeno puro, portatore di un tempo proprio, necessario al suo farsi e al suo apparire in quanto entità visibile. L'artista fa uscire il film dalla bidimensionalità statica dello schermo, offrendone il suo agio. La sua forma regolare è mossa da intensità e traiettorie molteplici che ne restituiscono una visione parziale di oggetto in divenire. Film-Ambiente è per eccellenza uno spazio di confine in cui ogni schermo vibra di un tempo prossimo, il tempo opportuno del compiersi di ogni esperienza. L'insistenza sulla contingenza del momento proiettivo, apre al ragionamento sulla dimensione spaziale dell'opera, ed in particolare al concetto di definizione della distanza necessaria alla rappresentazione. Nel commento all'opera, Tommaso Trini scrive: 'per un limite abbattuto, decine di nuovi limiti da stabilire. Avendo eliminato, con lo schermo unico, il più radicato dei limiti dell'esperienza cinematografica, Marinella Pirelli ha messo in moto un processo di eliminazioni-compenetrazioni affascinante'. Film-ambiente parla di rapporti di vicinanza, di transazioni e dispersioni. Progettato attorno al binomio tra struttura portante ed esperienza soggettiva, l'ambiente muove sulla necessità del prender posto, del generarsi di un'immagine.
L'artista descrive questa relazione attraverso due azioni: 'immagini dirette per trasparenza, immagini riportate per riflessioni'. Ed è proprio nel movimento continuo tra questi due estremi che l'opera è definibile come esperienza totale.
I film di Marinella Pirelli parlano di eventi di luce, di gesti semplici ed emozionanti, testimoni di un tempo sensibile. L'intuizione, la transitorietà, sono parametri legati al mezzo filmico, ma soprattutto alla condizione umana del vivere.
L'opera complessa di Marinella Pirelli trova il suo apice con la presentazione di Film Ambiente alla galleria De Nieubourg a Milano nel febbraio 1969. Si tratta di una struttura spaziale modulare, sulla quale l'artista proietta il film Luce e Movimento tratto dalle sculture Nuovo Paradiso di Gino Marotta. L'invenzione è coperta dal brevetto industriale n° 12550 A69 con nome: schermo composito per proiezioni luminose con effetto spaziale. L'ambiente è completamente trasparente e praticabile dallo spettatore. Ad esso corrisponde un'immagine totale, di oggetto dinamico, e un flusso luminoso di immagini scagliate nello spazio. L'ambiente è formato da schermi disposti secondo un reticolo modulare, adattabile in base all'apertura focale dell'obiettivo e le dimensioni della spazio pronto ad ospitarlo. Il ritmo della proiezione è concepito per trasparenze e riflessioni: un rapporto immagine-a-immagine fondato su un gioco di trattenute ed aggiunte. L'impressione continua dell'immagine portata sugli schermi, non avviene per propagazione lineare, ma si sviluppa attraverso un movimento di aperture, eccentriche e concentriche, sui lati di ogni schermo. Questo estende il classico rapporto tra immagine-superficie ad una dimensione più espansa di spazio-volume, scardinando profondamente i codici di lettura della proiezione cinematografica. Incroci di volumi reali e virtuali animano lo spazio della proiezione, evadendo i limiti del cono di luce.
Nel Film-Ambiente i due termini principali dello strumento filmico, ripresa e proiezione, si condizionano vicendevolmente aprendo alla partecipazione attiva dello spettatore all'alterazione dell'immagine. Simultanea all'evento proiettivo è anche la sua sonorizzazione. Attraverso un sistema di cellule fotosensibili, progettato da Livio Castiglioni, le immagini generate sugli schermi sono direttamente registrate e tradotte in suono, a creare una corrispondenza immediata tra scala cromatica visiva e scala sonora.
In Film-ambiente il proiettato si carica di una temporalità aggiunta, che eccede l'organizzazione preventiva dei fotogrammi in una sequenza di montaggio, ed apre l'immagine all'azione possibile dello spettatore-fruitore. La sua proiezione è qui presentata come fenomeno puro, portatore di un tempo proprio, necessario al suo farsi e al suo apparire in quanto entità visibile. L'artista fa uscire il film dalla bidimensionalità statica dello schermo, offrendone il suo agio. La sua forma regolare è mossa da intensità e traiettorie molteplici che ne restituiscono una visione parziale di oggetto in divenire. Film-Ambiente è per eccellenza uno spazio di confine in cui ogni schermo vibra di un tempo prossimo, il tempo opportuno del compiersi di ogni esperienza. L'insistenza sulla contingenza del momento proiettivo, apre al ragionamento sulla dimensione spaziale dell'opera, ed in particolare al concetto di definizione della distanza necessaria alla rappresentazione. Nel commento all'opera, Tommaso Trini scrive: 'per un limite abbattuto, decine di nuovi limiti da stabilire. Avendo eliminato, con lo schermo unico, il più radicato dei limiti dell'esperienza cinematografica, Marinella Pirelli ha messo in moto un processo di eliminazioni-compenetrazioni affascinante'. Film-ambiente parla di rapporti di vicinanza, di transazioni e dispersioni. Progettato attorno al binomio tra struttura portante ed esperienza soggettiva, l'ambiente muove sulla necessità del prender posto, del generarsi di un'immagine.
L'artista descrive questa relazione attraverso due azioni: 'immagini dirette per trasparenza, immagini riportate per riflessioni'. Ed è proprio nel movimento continuo tra questi due estremi che l'opera è definibile come esperienza totale.

Philippe Daverio
da "Ombra Luce", Skira editore, Milano 2003, p. 9
A Marinellia Pirelli la tenzone competitiva non è mai interessata. Ha vissuto e sta vivendo con passione il suo percorso, in campi del lavoro artistico dove solo di recente gli...
leggi...
A Marinellia Pirelli la tenzone competitiva non è mai interessata. Ha vissuto e sta vivendo con passione il suo percorso, in campi del lavoro artistico dove solo di recente gli esperimenti si stanno ripetendo e dove, da tempo, invece, lei indaga con risultati eccezionali, né censiti, né recensiti.
Ha “fatto video”prima che la parola anglo-latina fosse coniata. Si è occupata di luce, di colore della luce, di movimento e percezione della luce, in quegli anni lontani, nei quali pochi pionieri a Parigi e negli Stati Uniti riprendevano e rilanciavano gli esperimenti che russi, italiani e centroeuropei avevano iniziato tra le due guerre. Erano gli anni Sessanta, nei quali i suoi amici romani compivano percorsi paralleli nel metodo e diversi nel linguaggio, rispolverando dada. Ma gli uni e gli altri avevano intuito che l’impatto andava cambiato, che dal laboratorio si doveva passare all’installazione, che l’opera, per affermarsi, richiedeva una sua teatralità. La cosa assumeva, ed era naturale in quell’epoca, un’ampiezza dialogata, una dimensione sociale, politica. Chi allora lavorava necessitava non di un cliente, ma di un utente, non di un raccoglitore, ma di un fruitore.
Gran parte delle energie di quegli artisti sono successivamente state raccolte sotto marchi critici e destinate al mercato. Quelle di Marinellia Pirelli no. Sono tornate nel laboratorio e hanno germinato esperimenti successivi.
A quarant’anni di distanza diventa estremamente interessante gettare un occhio attento nelle sue stanze segrete. Si viene a scoprire che gran parte di ciò che reputiamo essere la nostra contemporaneità ha radici ancorate e profonde, che la qualità che sovente sentiamo decantare sono ripetizioni inconsapevoli di altre qualità, più dense perché più originarie. Si viene a imparare che il lavoro e l’elaborato sono affini e discendono da sedimentazioni accumulate nel tempo, suscettibili di caricarsi di significati complessivi. E si viene a constatare che è cosa utile, non tanto il cercare giovani talenti nuovi che si scaldano i muscoli per prepararsi con dovizia al successo, ma il reperire, in luoghi eccentrici, tralasciati e per questo motivo non condizionati, esperimenti divenuti esperienze, carichi di poetiche innovative non ancora omologate.
Ha “fatto video”prima che la parola anglo-latina fosse coniata. Si è occupata di luce, di colore della luce, di movimento e percezione della luce, in quegli anni lontani, nei quali pochi pionieri a Parigi e negli Stati Uniti riprendevano e rilanciavano gli esperimenti che russi, italiani e centroeuropei avevano iniziato tra le due guerre. Erano gli anni Sessanta, nei quali i suoi amici romani compivano percorsi paralleli nel metodo e diversi nel linguaggio, rispolverando dada. Ma gli uni e gli altri avevano intuito che l’impatto andava cambiato, che dal laboratorio si doveva passare all’installazione, che l’opera, per affermarsi, richiedeva una sua teatralità. La cosa assumeva, ed era naturale in quell’epoca, un’ampiezza dialogata, una dimensione sociale, politica. Chi allora lavorava necessitava non di un cliente, ma di un utente, non di un raccoglitore, ma di un fruitore.
Gran parte delle energie di quegli artisti sono successivamente state raccolte sotto marchi critici e destinate al mercato. Quelle di Marinellia Pirelli no. Sono tornate nel laboratorio e hanno germinato esperimenti successivi.
A quarant’anni di distanza diventa estremamente interessante gettare un occhio attento nelle sue stanze segrete. Si viene a scoprire che gran parte di ciò che reputiamo essere la nostra contemporaneità ha radici ancorate e profonde, che la qualità che sovente sentiamo decantare sono ripetizioni inconsapevoli di altre qualità, più dense perché più originarie. Si viene a imparare che il lavoro e l’elaborato sono affini e discendono da sedimentazioni accumulate nel tempo, suscettibili di caricarsi di significati complessivi. E si viene a constatare che è cosa utile, non tanto il cercare giovani talenti nuovi che si scaldano i muscoli per prepararsi con dovizia al successo, ma il reperire, in luoghi eccentrici, tralasciati e per questo motivo non condizionati, esperimenti divenuti esperienze, carichi di poetiche innovative non ancora omologate.

Paolo Biscottini
intervento critico per la mostra "Marinellia Pirelli. Mezzosecolo di vita per l’arte", mostra al Chiostro di Voltorre, Gavirate, 6 Giugno - 4 Luglio 1999
Lucio Fontana disse una volta che finito l’artista, finita l’opera, esiste l’infinito.
Quando non ci saremo più, e la stessa memoria di noi sarà svanita o ridotta a poco più di...
leggi...
Lucio Fontana disse una volta che finito l’artista, finita l’opera, esiste l’infinito.
Quando non ci saremo più, e la stessa memoria di noi sarà svanita o ridotta a poco più di nulla, quando il tempo, anche quello dell’immaginazione, non avrà più valore per noi, pure qualcosa resterà. Dove, come, che importa? Il cammino dell’uomo è privo di senso, ma soprattutto sappiamo che l’arte vive oltre l’artista e i significati che lui stesso attribuisce. 
Quando tutto sarà finito, all’orizzonte pure qualcosa resterà e sarà la bellezza, anche quella dell’opera d’arte cui forse compete il compito finale di condurci all’orlo di Dio.
Credo sia importante, oggi più che mai, pensare a questo infinito, tentare di non dare luogo, aspirazione del resto impossibile, ma una direzione e forse di scoprire la luce.
Ecco, pensate all’infinito come grande luce ove si posino e si spalanchino le nostre domande più profonde, l’attesa che denota il tempo della nostra vita, e giungere a questa luce adagio, come camminando talora nel buio, talora intuendone la forza, aspirati ad essa come da una forza più grande, musicale.
Questo è il senso dell’arte di Marinella Pirelli che dal particolare toccato, accarezzato, creato con indugi lenti, dove anche il segno più lieve della matita acquista un valore profondo per poi spalancare improvvisamente le porte al tutto: ad esso perviene, con sussulto, ma piano, come il palpito lieve della vita che germoglia.
Geometria? Estrema presunzione umanistica? E non forse intuizione di una perfezione che esiste in noi prima che altrove e alla quale l’artista dà forma con le sue mani, con le sue parole, con le sue note e infine con un pensiero che ha il profumo del desiderio.
Mentale questa operazione dell’arte che scandaglia il reale per salvarne lacerti da consegnare al tempo e riviverli poi nella luce riflessa e nel film.
Tutto è in una rosa. Come tutto è nella natura morta di Morandi.
Ma la rosa è gioco di ombre e la luce diventa un tema. Attraverso uno specchio possiamo vedere conseguenze infinite.
Marinella è nella rosa e nelle meteore. È nell’alba sul lago o nel notturno. Nel film o nello Environmental Screen. Nelle costellazioni o nelle trame degli anni settanta.
A che serve dirlo o pensarlo: Marinella è lì e là e la sua opera si presenta oggi con il senso della coerenza e dell’unità. Una forte coesione lega fra loro i diversi e una ragione sottile sovrintende ogni cosa. La matita o il pastello che intreccia una trama sottile, cerca comunque una luce, aspira alla luce e di essa alla fine vive. Qui il segno diventa altro e si trasforma continuamente nell’incessante movimento delle cose della natura, del cosmo. Leonardo credeva in questa capacità dell’arte non di rappresentare il fenomeno, ma di diventare essa stessa fenomeno, conquistando il vitalismo energetico che è riposto nel profondo di ogni natura.
Così la meteora esce dalle sue fasi progettuali e si sustanzia come lievito formale nello spazio e spazio essa stessa.
Allora una rosa lascia il palpitante fremito della sua bellezza sensuale ad una ragionevolezza composta, dove tutto dirama linee di forza, come in un campo magnetico e diviene rappresentazione non già di bellezza estenuata e estenuante, ma della forza mentale del nostro stesso cervello, oppure del nostro pensare con insistenza, per lievi spostamenti, per mutazioni sottili, cui il colore è solo contributo, destinato alla luce.
Bisognerà guardare con calma questo lungo cammino di Marinella e chiedersi, alla fine, perché cercando tante cose, abbia alla fine voluto guardare ai suoi nipoti con una dichiarazione di figuratività totale e inaspettata. Ma non ci sono equivoci o banali confusioni: è solo un nuovo inno d’amore alla vita, una adagio intenso e appassionato che prelude ad un altro, rinviando insieme ad ogni attimo di ciò che è passato.
Come se tutto fosse sempre presente, come se nulla potesse essere mai negato. La ricerca della verità di sé conquista spazi e tempi infiniti entro cui posare fasci di luce o il lento sguardo sul divenire delle cose.
Quando non ci saremo più, e la stessa memoria di noi sarà svanita o ridotta a poco più di nulla, quando il tempo, anche quello dell’immaginazione, non avrà più valore per noi, pure qualcosa resterà. Dove, come, che importa? Il cammino dell’uomo è privo di senso, ma soprattutto sappiamo che l’arte vive oltre l’artista e i significati che lui stesso attribuisce. 
Quando tutto sarà finito, all’orizzonte pure qualcosa resterà e sarà la bellezza, anche quella dell’opera d’arte cui forse compete il compito finale di condurci all’orlo di Dio.
Credo sia importante, oggi più che mai, pensare a questo infinito, tentare di non dare luogo, aspirazione del resto impossibile, ma una direzione e forse di scoprire la luce.
Ecco, pensate all’infinito come grande luce ove si posino e si spalanchino le nostre domande più profonde, l’attesa che denota il tempo della nostra vita, e giungere a questa luce adagio, come camminando talora nel buio, talora intuendone la forza, aspirati ad essa come da una forza più grande, musicale.
Questo è il senso dell’arte di Marinella Pirelli che dal particolare toccato, accarezzato, creato con indugi lenti, dove anche il segno più lieve della matita acquista un valore profondo per poi spalancare improvvisamente le porte al tutto: ad esso perviene, con sussulto, ma piano, come il palpito lieve della vita che germoglia.
Geometria? Estrema presunzione umanistica? E non forse intuizione di una perfezione che esiste in noi prima che altrove e alla quale l’artista dà forma con le sue mani, con le sue parole, con le sue note e infine con un pensiero che ha il profumo del desiderio.
Mentale questa operazione dell’arte che scandaglia il reale per salvarne lacerti da consegnare al tempo e riviverli poi nella luce riflessa e nel film.
Tutto è in una rosa. Come tutto è nella natura morta di Morandi.
Ma la rosa è gioco di ombre e la luce diventa un tema. Attraverso uno specchio possiamo vedere conseguenze infinite.
Marinella è nella rosa e nelle meteore. È nell’alba sul lago o nel notturno. Nel film o nello Environmental Screen. Nelle costellazioni o nelle trame degli anni settanta.
A che serve dirlo o pensarlo: Marinella è lì e là e la sua opera si presenta oggi con il senso della coerenza e dell’unità. Una forte coesione lega fra loro i diversi e una ragione sottile sovrintende ogni cosa. La matita o il pastello che intreccia una trama sottile, cerca comunque una luce, aspira alla luce e di essa alla fine vive. Qui il segno diventa altro e si trasforma continuamente nell’incessante movimento delle cose della natura, del cosmo. Leonardo credeva in questa capacità dell’arte non di rappresentare il fenomeno, ma di diventare essa stessa fenomeno, conquistando il vitalismo energetico che è riposto nel profondo di ogni natura.
Così la meteora esce dalle sue fasi progettuali e si sustanzia come lievito formale nello spazio e spazio essa stessa.
Allora una rosa lascia il palpitante fremito della sua bellezza sensuale ad una ragionevolezza composta, dove tutto dirama linee di forza, come in un campo magnetico e diviene rappresentazione non già di bellezza estenuata e estenuante, ma della forza mentale del nostro stesso cervello, oppure del nostro pensare con insistenza, per lievi spostamenti, per mutazioni sottili, cui il colore è solo contributo, destinato alla luce.
Bisognerà guardare con calma questo lungo cammino di Marinella e chiedersi, alla fine, perché cercando tante cose, abbia alla fine voluto guardare ai suoi nipoti con una dichiarazione di figuratività totale e inaspettata. Ma non ci sono equivoci o banali confusioni: è solo un nuovo inno d’amore alla vita, una adagio intenso e appassionato che prelude ad un altro, rinviando insieme ad ogni attimo di ciò che è passato.
Come se tutto fosse sempre presente, come se nulla potesse essere mai negato. La ricerca della verità di sé conquista spazi e tempi infiniti entro cui posare fasci di luce o il lento sguardo sul divenire delle cose.

Achille Bonito Oliva
Da "Marinella Pirelli", catalogo mostra Galleria Futura Tre, Modena, febbraio 1971
Il lavoro di Marinella Pirelli allude alla possibilità di catturare dentro il linguaggio la dimensione temporale. All’inizio questa dimensione temporale viene catturata se si può dire attraverso un ingranaggio tecnologico...
leggi...
Il lavoro di Marinella Pirelli allude alla possibilità di catturare dentro il linguaggio la dimensione temporale. All’inizio questa dimensione temporale viene catturata se si può dire attraverso un ingranaggio tecnologico che è lo strumento dello specifico cinematografico.
Nel campo di una immagine bidimensionale anche se cinematica come quella del film l’immagine si muove e si scandisce secondo una sequenza che ha un suo tempo interno, un tempo che corrisponde e si identifica col tempo concettuale con cui Marinella Pirelli ha ideato la struttura cinematografica, un tempo dunque preventivato, un tempo dunque che è reale nel senso che si consuma secondo una scansione e un progredire di attimi che corrispondono assolutamente agli attimi in cui lo spettatore percepisce un film.
Però la dimensione temporale in questo caso è già catturata e non è aperta all’alea che è un’altra connotazione della dimensione del tempo. Quest’alea invece si sviluppa, viene applicata alla ricerca di Marinella Pirelli, quando l’artista fa uscire il film dalla bidimensionalità statica dello schermo ed apre le immagini alla possibilità di intervenire e di invadere lo spazio d’azione dello spettatore.
In questo caso il discorso diciamo aleatorio trova una sua applicazione per il fatto che l’immagine ha e subisce una progressione che non è solo preventivata in quanto corrisponde a un’organizzazione, ad un montaggio che l’artista dà del suo film, in quanto possibilità che l’immagine stessa possa subire una modificazione successiva alla sua ideazione iniziale.
Così arriviamo alle opere più recenti, ai fiori, dove riesce dalla dimensione bidimensionale dello schermo che riproduce metaforicamente il passaggio del tempo, riesce dallo schermo-ambiente che era strutturato secondo una definizione di campo in una dimensione aperta dove il tempo dello spettatore e lo spazio dello spettatore viveva anche lo spazio in cui le immagini si andavano a situare, per arrivare alle ultime opere, a questi fiori su cui esiste un intervento successivo al tempo di ideazione dell’artista in quanto un movimento dà un trascorrere, dà una trasformazione a questi fiori che corrisponde esattamente al tempo di percezione dello spettatore.
Vediamo come in questo caso il tempo non è più la metafora della dissoluzione dell’oggetto, ma diventa invece una minaccia poeticamente reale in quanto l’oggetto subisce un passaggio di situazione linguistica, il passaggio da un linguaggio statico da un segno iniziale, ad invece una dimensione dove la dimensione temporale viene applicata e altera effettivamente la posizione iniziale del linguaggio. In questa maniera ci troviamo davanti a delle opere le quali vivono sincronicamente a noi un tempo reale di vita e nello stesso tempo accorciano la distanza contemplativa che intercorre normalmente tra l’opera e lo spettatore.
Nel campo di una immagine bidimensionale anche se cinematica come quella del film l’immagine si muove e si scandisce secondo una sequenza che ha un suo tempo interno, un tempo che corrisponde e si identifica col tempo concettuale con cui Marinella Pirelli ha ideato la struttura cinematografica, un tempo dunque preventivato, un tempo dunque che è reale nel senso che si consuma secondo una scansione e un progredire di attimi che corrispondono assolutamente agli attimi in cui lo spettatore percepisce un film.
Però la dimensione temporale in questo caso è già catturata e non è aperta all’alea che è un’altra connotazione della dimensione del tempo. Quest’alea invece si sviluppa, viene applicata alla ricerca di Marinella Pirelli, quando l’artista fa uscire il film dalla bidimensionalità statica dello schermo ed apre le immagini alla possibilità di intervenire e di invadere lo spazio d’azione dello spettatore.
In questo caso il discorso diciamo aleatorio trova una sua applicazione per il fatto che l’immagine ha e subisce una progressione che non è solo preventivata in quanto corrisponde a un’organizzazione, ad un montaggio che l’artista dà del suo film, in quanto possibilità che l’immagine stessa possa subire una modificazione successiva alla sua ideazione iniziale.
Così arriviamo alle opere più recenti, ai fiori, dove riesce dalla dimensione bidimensionale dello schermo che riproduce metaforicamente il passaggio del tempo, riesce dallo schermo-ambiente che era strutturato secondo una definizione di campo in una dimensione aperta dove il tempo dello spettatore e lo spazio dello spettatore viveva anche lo spazio in cui le immagini si andavano a situare, per arrivare alle ultime opere, a questi fiori su cui esiste un intervento successivo al tempo di ideazione dell’artista in quanto un movimento dà un trascorrere, dà una trasformazione a questi fiori che corrisponde esattamente al tempo di percezione dello spettatore.
Vediamo come in questo caso il tempo non è più la metafora della dissoluzione dell’oggetto, ma diventa invece una minaccia poeticamente reale in quanto l’oggetto subisce un passaggio di situazione linguistica, il passaggio da un linguaggio statico da un segno iniziale, ad invece una dimensione dove la dimensione temporale viene applicata e altera effettivamente la posizione iniziale del linguaggio. In questa maniera ci troviamo davanti a delle opere le quali vivono sincronicamente a noi un tempo reale di vita e nello stesso tempo accorciano la distanza contemplativa che intercorre normalmente tra l’opera e lo spettatore.

Tommaso Trini
"M’illumino di film", da rivista “Domusâ€, n. 477, agosto 1969, pag. 36
Tutto lo spazio è dedicato alla rappresentazione; tutto lo spazio è dedicato al pubblico. L’assioma che Richard Schechner ha elaborato per il suo environmental theatre vale ugualmente per l’avanzata esperienza...
leggi...
Tutto lo spazio è dedicato alla rappresentazione; tutto lo spazio è dedicato al pubblico. L’assioma che Richard Schechner ha elaborato per il suo environmental theatre vale ugualmente per l’avanzata esperienza di cinema ambientale proposta ora da Marinella Pirelli.
Con questa differenza però: che lo spazio reale in questo caso si costituisce come film, è spazio filmico. Infatti nel Film ambiente di Marinella Pirelli il pubblico viene introdotto più o meno attivamente con funzione straniante; all’azione precostituita del film e del suo ambiente corrisponde la partecipazione estraniata di uno spettatore assorbito in un tempo-spazio non suo: è il rapporto immagine-a-immagine; una partecipazione diacronica come quella dell’attore con l’anteriorità del testo.
Estendendo i suggerimenti dell’esperimento: può diventare film-teatro? La risposta è no: questo nuovo tipo di ambiente materiato di immagini cinematografiche fa da cornice al pubblico, non ad una normale attività di attore; lo spettatore è separato dall’azione filmica, è separato dagli altri spettatori.
Ma può anche darsi una risposta affermativa. Guardate dall’esterno il Film ambiente mentre è vissuto e percorso, questo è teatro; coordinate ogni vostro gesto e stimolo sensoriale con l’azione del film, questo è teatro.
Per un limite abbattuto, decine di nuovi limiti da stabilire. Avendo eliminato, con lo schermo unico, il più radicato dei limiti dell’esperienza cinematografica, Marinella Pirelli ha messo in moto un processo di eliminazioni/compenetrazioni affascinante. (Qualcuno, uscendo dal labirinto luminoso, lo ha paragonato all’invenzione di Morel, secondo il romanzo di Casares).
Ma l’autrice, giustamente, non scambia la potenza del verbo con le servitù tecniche; e si limita a concentrare la sua ricerca sul versante linguistico; stabilire una nuova grammatica filmica può risultare più che sufficiente.
Con questa differenza però: che lo spazio reale in questo caso si costituisce come film, è spazio filmico. Infatti nel Film ambiente di Marinella Pirelli il pubblico viene introdotto più o meno attivamente con funzione straniante; all’azione precostituita del film e del suo ambiente corrisponde la partecipazione estraniata di uno spettatore assorbito in un tempo-spazio non suo: è il rapporto immagine-a-immagine; una partecipazione diacronica come quella dell’attore con l’anteriorità del testo.
Estendendo i suggerimenti dell’esperimento: può diventare film-teatro? La risposta è no: questo nuovo tipo di ambiente materiato di immagini cinematografiche fa da cornice al pubblico, non ad una normale attività di attore; lo spettatore è separato dall’azione filmica, è separato dagli altri spettatori.
Ma può anche darsi una risposta affermativa. Guardate dall’esterno il Film ambiente mentre è vissuto e percorso, questo è teatro; coordinate ogni vostro gesto e stimolo sensoriale con l’azione del film, questo è teatro.
Per un limite abbattuto, decine di nuovi limiti da stabilire. Avendo eliminato, con lo schermo unico, il più radicato dei limiti dell’esperienza cinematografica, Marinella Pirelli ha messo in moto un processo di eliminazioni/compenetrazioni affascinante. (Qualcuno, uscendo dal labirinto luminoso, lo ha paragonato all’invenzione di Morel, secondo il romanzo di Casares).
Ma l’autrice, giustamente, non scambia la potenza del verbo con le servitù tecniche; e si limita a concentrare la sua ricerca sul versante linguistico; stabilire una nuova grammatica filmica può risultare più che sufficiente.

Renato Guttuso
Catalogo mostra "Marinella Pirelli", Galleria delle Ore, Milano, 1960
…non sarebbe stato facile prevedere che una giovane donna così facile agli entusiasmi, dalla apparenza ingenua e svagata, possedesse quella fondamentale qualità che consiste nell’essere fedeli a se stessi, costi...
leggi...
…non sarebbe stato facile prevedere che una giovane donna così facile agli entusiasmi, dalla apparenza ingenua e svagata, possedesse quella fondamentale qualità che consiste nell’essere fedeli a se stessi, costi quel che costi, e perciò possedesse testa dura, nervi saldi e un sentimento sicuro e segreto della poesia. Ma così è stato. Né è da dire che a Marinella siano mancati o manchino i contatti e i trasporti appassionati verso le principali ricerche care ai migliori gruppi di giovani operanti in questi anni in Italia. Questi contatti ci sono stati e ci sono e se ne vede, nel suo lavoro, la traccia; ma ogni esperienza appare sempre non assorbita, ma sopraffatta da una originale direzione di ricerca che mira a ricostruire l’immagine poetica delle cose naturali in un tessuto di rara impetuosità e freschezza. Credo che l’amore di Van Gogh abbia contribuito a confermare in Marinella, la sua idea. Ricordo che durante un discorso fatto con lei sul significato e il valore del dipingere dal vero ci si fosse soffermati a considerare Van Gogh e il suo ostinato studiare un pezzo di prato, un pezzo di siepe fiorita, e come da quell’analisi così parziale Van Gogh avesse saputo estrarre un senso nuovo dello spazio, fosse stato capace di intuire la moltiplicazione di un motivo oltre i margini geometrici della tela.
…altri nomi che si potrebbero fare, se proprio si volessero indicare i necessari legami culturali, mi pare sarebbero quelli di Morlotti e di Mafai. Ma quel che più conta, a mio avviso, non è il modo con cui Marinella si è accostata a questi artisti quanto il modo con cui se n’è allontanata, con cui se n’è servita quasi per contraddirli.
Prendiamo ad esempio i fiori di Mafai sospesi a mezz’aria in uno spazio d’aria soavemente colorata. Marinella si serve dell’analisi tonale di Mafai, ma la esaspera in una rete drammatica che implica leggi di composizione più organiche all’immagine, sicchè raramente il suo tema viene circoscritto ad un’aura poetica ma tende, al contrario, a riempire della sua ‘presenza’ tutta la tela. Prendiamo ad esempio un campo di pannocchie di Morlotti fuse con la terra che le ha generate fino ad annullarsi in essa. Marinella si ingegna invece a districare le foglie e i rami, a dare conto della loro esistenza oggettiva come forme, cioè come significati figurativi.
Esiste sempre un problema figurativo di Marinella che forse non sempre riesce a mettere a fuoco, ma che mi sembra la ragione più persuasiva del suo lavoro. E’ un lavoro tutt’altro che facile, spesso tormentato, e che a volte pecca di eccesso di coscienza. Marinella dovrà guardarsi dal compiacersi dei suoi stesso doni, dall’insidia decorativa e da tentazioni esistenziali estranee alla sua fresca a impetuosa natura.
Senza voler anticipare un giudizio che spetta al pubblico, alla critica, ai colleghi, credo sia giusto sottolineare come i più recenti studi di paesaggio costituiscano una positiva situazione di lavoro, non solo perché non vi è più traccia dei pericoli sopra indicati, ma perché, nella chiusura rapida ed efficace dell’immagine, mi pare aprano le migliori speranze nello svolgimento futuro del lavoro dell’artista.
…altri nomi che si potrebbero fare, se proprio si volessero indicare i necessari legami culturali, mi pare sarebbero quelli di Morlotti e di Mafai. Ma quel che più conta, a mio avviso, non è il modo con cui Marinella si è accostata a questi artisti quanto il modo con cui se n’è allontanata, con cui se n’è servita quasi per contraddirli.
Prendiamo ad esempio i fiori di Mafai sospesi a mezz’aria in uno spazio d’aria soavemente colorata. Marinella si serve dell’analisi tonale di Mafai, ma la esaspera in una rete drammatica che implica leggi di composizione più organiche all’immagine, sicchè raramente il suo tema viene circoscritto ad un’aura poetica ma tende, al contrario, a riempire della sua ‘presenza’ tutta la tela. Prendiamo ad esempio un campo di pannocchie di Morlotti fuse con la terra che le ha generate fino ad annullarsi in essa. Marinella si ingegna invece a districare le foglie e i rami, a dare conto della loro esistenza oggettiva come forme, cioè come significati figurativi.
Esiste sempre un problema figurativo di Marinella che forse non sempre riesce a mettere a fuoco, ma che mi sembra la ragione più persuasiva del suo lavoro. E’ un lavoro tutt’altro che facile, spesso tormentato, e che a volte pecca di eccesso di coscienza. Marinella dovrà guardarsi dal compiacersi dei suoi stesso doni, dall’insidia decorativa e da tentazioni esistenziali estranee alla sua fresca a impetuosa natura.
Senza voler anticipare un giudizio che spetta al pubblico, alla critica, ai colleghi, credo sia giusto sottolineare come i più recenti studi di paesaggio costituiscano una positiva situazione di lavoro, non solo perché non vi è più traccia dei pericoli sopra indicati, ma perché, nella chiusura rapida ed efficace dell’immagine, mi pare aprano le migliori speranze nello svolgimento futuro del lavoro dell’artista.